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In visione, ad Ezechiele venne mostrata una cittè retta su un monte altissimo,
preesistente ad ogni costruzione umana. A guidare il profeta fu un angelo, allegoria della
conoscenza, «con una cordicella di lino in mano e una canna per misurare» che,
addentrandosi nel tempio a pianta quadrata, forniva le dimensioni di ogni ambiente: mura,
porte, soglie, stanze, portici, pilastri, cortili, facciate, finestre e vestiboli; il
santuario, «lungo quaranta cubiti e largo venti», e il Santo dei santi -prototipo delle
chiese dei cavalieri templari- dove posavano i piedi del Signore. Nella minuziosa
descrizione della città divina e del suo spazio sacro si riverbera la perfezione del
Creatore, supremo architetto. Ezechiele dovrà descrivere quanto gli è stato rivelato
perché gli uomini, di fronte a tanta armonia ed ordine, si vergognino della loro perfida
condotta. Solo allora, la forma del tempio potrà essere spiegata interamente ai mortali,
come pure la disposizione delle stanze e i regolamenti che, una volta scritti, dovranno
essere messi in pratica. La Civitas Dei sarà esempio di condotta per chi vuol
erigere e governare le città degli uomini. Misure, proporzioni e disposizione degli spazi
costituiscono l'ordine entro il quale regolare l'agire umano ispirato al cielo: «All'uomo
appartengono i progetti della mente ma dal Signore viene la risposta» (Proverbi
16, 1). L'imago templi, in quanto immagine del Paradiso primordiale, non può che essere
luogo e fonte di Giustizia. Nella città-tempio di Ezechiele si prefigura la Gerusalemme
celeste dell'Apocalisse. Nell'idea antica di progetto, norma e forma di un sacro recinto
sono dunque inscindibili: a Mosé, oltre ai comandamenti, venne consegnato anche il
modello della Dimora. L'arca accoglieva la Testimonianza. La perfezione di una costruzione
derivava dall'armonia fra il suo disegno e le leggi che regolavano la vita di quello
spazio. La costruzione di un luogo sacro deve essere pertanto accompagnata, anzi abitata
perennemente da un rinnovamento del cuore umano. La città-tempio potrà allora essere
compresa e realizzata solo se oggetto di una profonda percezione interiore e di una retta
condotta di vita.
Allo stesso Davide, in quanto guerriero che ha versato
sangue, verrà proibita la costruzione del tempio. Il compito sarà invece affidato a suo
figlio Salomone che riceverà in consegna il modello dell'edificio. Il prototipo del
tempio, che serviva ad indicare la funzione e la disposizione delle stanze, non era
sufficiente per giungere alla realizzazione. Davide in persona menziona uno scritto del
Signore per far «comprendere tutti i particolari del modello» (1Cronache 28,
19). Modello e scrittura, forma tridimensionale e parola consentono agli uomini di
accedere ai progetti divini. Per la costruzione, Salomone ingaggiò migliaia di portatori,
scalpellini e sorveglianti: il tempio «deve essere grande, perché il nostro Dio è più
grande di tutti gli dei» (2Cronache 2, 4). Le fondamenta dell'edificio
misuravano sessanta cubiti in lunghezza, venti di larghezza e trenta di altezza. Le stanze
erano rivestite d'oro. Di fronte alla facciata sorgevano due colonne bronzee, denominate
Iachin e Boaz, simboli di un sapere segreto ripresi da Fischer von Erlach per la chiesa di
San Carlo, a Vienna. Descrizioni scritte, piante e disegni non sono sufficienti alla
realizzazione di un edificio. Un modello può rendere visibile ciò che vede l'occhio
della mente divina e, riproducendo anche la conformazione del sito, costituisce il primo
passo, il ponte per far comunicare l'universalità dell'idea con l'accidentalità della
materia. Il modello, in quanto disegno in rilievo è exemplar per eccellenza. Ma
Salomone, che viveva nella grazia di Dio, non era un tekhnikós. Davide aveva già
predisposto immense ricchezze, bronzo, ferro, legname e pietre in quantità incalcolabile.
Ma occorreva un esperto nelle varie arti, capace di dirigere ogni tipo di maestranza: un arkhitékton
o capo costruttore. Il prescelto fu il sapiente Curam-Abi, capace di «lavorare l'oro,
l'argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legno, i filati di porpora, di violetto, di
bisso e di cremisi» e di «eseguire ogni intaglio». Proveniente da Tiro e prototipo
dell'artigiano universale, Curam-Abi era in grado di «concretare genialmente ogni
progetto» che gli venisse sottoposto.
Il tempio, divina ideazione, prende corpo mediante le
ricchezze e grazie alle virtù delle umane tecniche: aule rivestite con tavole di cedro e
cipresso, pareti ornate con pietre preziose, chiodi d'oro, statue di cherubini con le ali
spiegate, stoffe pregiate, ghirlande, un altare di bronzo, una vasca per le abluzioni
sorretta da dodici buoi in metallo, recipienti per la purificazione, candelabri, tavoli
per l'offerta, battenti in legno d'ulivo e di abete, caldaie, palette, aspersori,
forchettoni, lampade, coppe e bracieri. I lavori, per non profanare la costruzione,
procedettero in liturgico silenzio: «non si udì il rumore di martelli, di piccone o di
altro arnese di ferro» (1Re 6, 7). Infine, l'arca venne intronizzata nel Santo
dei santi, sotto le ali dei cherubini. Il tempio deve custodire la legge: «Nell'arca non
c'era nulla se non le due tavole, che Mosé vi pose sull'Oreb, le tavole dell'alleanza
conclusa dal Signore con gli Israeliti quando uscirono dall'Egitto».
Quando, alla fine dei tempi, la nuova Gerusalemme, come
gemma preziosa, scenderà dal cielo, al suo centro non si troverà alcun edificio sacro:
se nella storia è l'uomo che erige il tempio pregando Dio di abitarlo, quando l'universo
verrà chiuso come un libro, l'Onnipotente e l'Agnello si faranno tempio dell'uomo. In
mezzo alla piazza centrale, di oro puro e come cristallo trasparente, attraversata da un
fiume d'acqua viva e occupata dall'albero della vita, si troverà solamente il trono,
avvolto da un arcobaleno di smeraldo e occupato da Colui il cui aspetto è simile a
diaspro e cornalina.
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