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Articoli Saggi

Il modello del tempio
nell'Antico Testamento

di ANTONIO MANNO

Pubblicato su "M/A Relais" (Bologna), n. 6 (giu. 1995), pp. 3-4.

 
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In visione, ad Ezechiele venne mostrata una cittè retta su un monte altissimo, preesistente ad ogni costruzione umana. A guidare il profeta fu un angelo, allegoria della conoscenza, «con una cordicella di lino in mano e una canna per misurare» che, addentrandosi nel tempio a pianta quadrata, forniva le dimensioni di ogni ambiente: mura, porte, soglie, stanze, portici, pilastri, cortili, facciate, finestre e vestiboli; il santuario, «lungo quaranta cubiti e largo venti», e il Santo dei santi -prototipo delle chiese dei cavalieri templari- dove posavano i piedi del Signore. Nella minuziosa descrizione della città divina e del suo spazio sacro si riverbera la perfezione del Creatore, supremo architetto. Ezechiele dovrà descrivere quanto gli è stato rivelato perché gli uomini, di fronte a tanta armonia ed ordine, si vergognino della loro perfida condotta. Solo allora, la forma del tempio potrà essere spiegata interamente ai mortali, come pure la disposizione delle stanze e i regolamenti che, una volta scritti, dovranno essere messi in pratica. La Civitas Dei sarà esempio di condotta per chi vuol erigere e governare le città degli uomini. Misure, proporzioni e disposizione degli spazi costituiscono l'ordine entro il quale regolare l'agire umano ispirato al cielo: «All'uomo appartengono i progetti della mente ma dal Signore viene la risposta» (Proverbi 16, 1). L'imago templi, in quanto immagine del Paradiso primordiale, non può che essere luogo e fonte di Giustizia. Nella città-tempio di Ezechiele si prefigura la Gerusalemme celeste dell'Apocalisse. Nell'idea antica di progetto, norma e forma di un sacro recinto sono dunque inscindibili: a Mosé, oltre ai comandamenti, venne consegnato anche il modello della Dimora. L'arca accoglieva la Testimonianza. La perfezione di una costruzione derivava dall'armonia fra il suo disegno e le leggi che regolavano la vita di quello spazio. La costruzione di un luogo sacro deve essere pertanto accompagnata, anzi abitata perennemente da un rinnovamento del cuore umano. La città-tempio potrà allora essere compresa e realizzata solo se oggetto di una profonda percezione interiore e di una retta condotta di vita.

Allo stesso Davide, in quanto guerriero che ha versato sangue, verrà proibita la costruzione del tempio. Il compito sarà invece affidato a suo figlio Salomone che riceverà in consegna il modello dell'edificio. Il prototipo del tempio, che serviva ad indicare la funzione e la disposizione delle stanze, non era sufficiente per giungere alla realizzazione. Davide in persona menziona uno scritto del Signore per far «comprendere tutti i particolari del modello» (1Cronache 28, 19). Modello e scrittura, forma tridimensionale e parola consentono agli uomini di accedere ai progetti divini. Per la costruzione, Salomone ingaggiò migliaia di portatori, scalpellini e sorveglianti: il tempio «deve essere grande, perché il nostro Dio è più grande di tutti gli dei» (2Cronache 2, 4). Le fondamenta dell'edificio misuravano sessanta cubiti in lunghezza, venti di larghezza e trenta di altezza. Le stanze erano rivestite d'oro. Di fronte alla facciata sorgevano due colonne bronzee, denominate Iachin e Boaz, simboli di un sapere segreto ripresi da Fischer von Erlach per la chiesa di San Carlo, a Vienna. Descrizioni scritte, piante e disegni non sono sufficienti alla realizzazione di un edificio. Un modello può rendere visibile ciò che vede l'occhio della mente divina e, riproducendo anche la conformazione del sito, costituisce il primo passo, il ponte per far comunicare l'universalità dell'idea con l'accidentalità della materia. Il modello, in quanto disegno in rilievo è exemplar per eccellenza. Ma Salomone, che viveva nella grazia di Dio, non era un tekhnikós. Davide aveva già predisposto immense ricchezze, bronzo, ferro, legname e pietre in quantità incalcolabile. Ma occorreva un esperto nelle varie arti, capace di dirigere ogni tipo di maestranza: un arkhitékton o capo costruttore. Il prescelto fu il sapiente Curam-Abi, capace di «lavorare l'oro, l'argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il legno, i filati di porpora, di violetto, di bisso e di cremisi» e di «eseguire ogni intaglio». Proveniente da Tiro e prototipo dell'artigiano universale, Curam-Abi era in grado di «concretare genialmente ogni progetto» che gli venisse sottoposto.

Il tempio, divina ideazione, prende corpo mediante le ricchezze e grazie alle virtù delle umane tecniche: aule rivestite con tavole di cedro e cipresso, pareti ornate con pietre preziose, chiodi d'oro, statue di cherubini con le ali spiegate, stoffe pregiate, ghirlande, un altare di bronzo, una vasca per le abluzioni sorretta da dodici buoi in metallo, recipienti per la purificazione, candelabri, tavoli per l'offerta, battenti in legno d'ulivo e di abete, caldaie, palette, aspersori, forchettoni, lampade, coppe e bracieri. I lavori, per non profanare la costruzione, procedettero in liturgico silenzio: «non si udì il rumore di martelli, di piccone o di altro arnese di ferro» (1Re 6, 7). Infine, l'arca venne intronizzata nel Santo dei santi, sotto le ali dei cherubini. Il tempio deve custodire la legge: «Nell'arca non c'era nulla se non le due tavole, che Mosé vi pose sull'Oreb, le tavole dell'alleanza conclusa dal Signore con gli Israeliti quando uscirono dall'Egitto».

Quando, alla fine dei tempi, la nuova Gerusalemme, come gemma preziosa, scenderà dal cielo, al suo centro non si troverà alcun edificio sacro: se nella storia è l'uomo che erige il tempio pregando Dio di abitarlo, quando l'universo verrà chiuso come un libro, l'Onnipotente e l'Agnello si faranno tempio dell'uomo. In mezzo alla piazza centrale, di oro puro e come cristallo trasparente, attraversata da un fiume d'acqua viva e occupata dall'albero della vita, si troverà solamente il trono, avvolto da un arcobaleno di smeraldo e occupato da Colui il cui aspetto è simile a diaspro e cornalina.

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