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Articoli Saggi

L'eloquenza dei simboli e il silenzio degli ornamenti

di ANTONIO MANNO

Apparso in "M/A Relais" (Bologna), n. 23 (set. 1999), pp. 4-7.

 
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Bibliografia

 

Nell'antichità, il symbolon era un segno di riconoscimento che, una volta accostato alla sua metà, consentiva a due persone di provare, mediante la ri-costruzione di un oggetto o di una immagine, un mutuo legame di appartenenza. Il verbo syn-ballein, significa mettere insieme e anche paragonare. Ri-unire elementi precedentemente separati, è un atto che si contrappone all'azione diabolica il cui fine, secondo la sua etimologia greca, è quello di separare o dis-unire. Proprietà del symbolon è dunque il darsi sia come parte che come segno evocatore di un'originaria unità. Ma esiste anche un'altra accezione del termine, non meno preziosa. Presso la Chiesa, con symbolum si intendeva il credo, il segno della fede attorno al quale si professavano i membri della comunità cristiana; la regola attorno alla quale ci si riconosceva tra simili e che consentiva di distinguersi dagli infedeli: una sacra alleanza. Se dunque il symbolon rimanda ad un'immagine o ad un oggetto spezzato, il symbolum può riferirsi ad un credo formulato verbalmente. Per i latini, inoltre, il termine indicava l'anello con il quale si contrassegnavano le epistole e, per estensione, l'immagine stessa impressa sull'anello, oppure su un'insegna, un sigillo o un vessillo: segni di ri-conoscimento aventi la proprietà intrinseca di provare, come un credo visivo, un'appartenenza.

Per giustificare il culto delle icone, nel secondo concilio di Nicea, tenuto nel 787, si spiegava che, onorandone l'immagine, si rendeva omaggio alla persona stessa dell'imperatore. In assenza di quest'ultimo, la figura ne in-segna la presenza, anche se il corpo si dà altrove. L'atto dell'onorare equivale all'azione di colui che accosta le due parti spezzate di un symbolon. Se in un caso si ricompone l'unità tramite le cose che tornano a coincidere, nell'altro lo stesso fine è conseguito mediante le parole e i gesti.

L'esempio addotto dal concilio niceno introduceva alla questione ben più rilevante, ma non dissimile sul piano logico, del culto dell'icona di Cristo: chi la onora non rende un tributo alla sua immagine ma alla sua persona o, volendo ricorrere al linguaggio del tempo, al suo prototipo. Perchè la preghiera potesse avere efficacia occorreva garantire la rigorosa somiglianza fra Cristo e la sua icona. Secondo la tradizione, fu san Luca, patrono dei pittori, a ritrarre Gesù e sua Madre dal vero. Gli artisti, prima di iniziare un'opera sacra, dovevano purificarsi e digiunare e, una volta al lavoro, era loro compito attenersi alle icone più antiche, come quelle realizzate dall'evangelista. La somiglianza del modello originario doveva essere rigorosamente tramandata per consentire, a chi pregava dinnanzi al Volto santo, di ri-trovare il vero figlio di Dio. Una condizione vitale per il credente che, onorando l'icona, rendeva omaggio anche al Padre, poichè Cristo "è l'immagine dell'invisibile Dio". Il discorso cristiano sull'effigie non solo si atteneva all'allegoria dell'imperatore, ma attribuiva all'atto dell'onorare la possibilità di accedere al trascendente. Tale rottura di livello, di chi passa dal profano al sacro, non è propria all'immagine in sè -che pure deve essere fedele- ma alla preghiera dinnanzi ad essa. Fra i mosaici della basilica di San Marco si trova un Pantocratore, realizzato nella seconda metà del XII secolo in un sottarco della cappella di san Clemente. Un'iscrizione, evidentemente indirizzata ai prelati e al doge, cosè ammonisce: "Infatti Dio è ciò che l'immagine mostra, ma non è essa Dio. / Vedi l'immagine, ma con l'animo veneri ciò che in lei riconosci". È l'anima, sospinta dal cuore, e non l'occhio che può percepire il mistero del divino. Volendo procedere lungo tale direzione, che poi è quella ancora seguita dalla Chiesa greco-ortodossa, si potrebbe sostenere, con scandalo estremo per gli iconologi, che senza un credo non esiste immagine simbolica.

Un'icona, come il dito che indica la Luna, è un semplice mezzo per giungere al simboleggiato, che è il fine. Se poi si dimentica la natura illusoria dell'immagine, identificandola con la persona o, in altre parole, si scambia la realtà con il suo riflesso, si precipita nell'idolatria, l'errore di colui che, dimentico della materialità dell'opera d'arte le conferisce una vita propria. Le patere veneziane, applicate sopra o ai fianchi delle polifore, assolvevano alla stessa funzione apotropaica delle maschere o dei fantocci appesi fra le colonne dei templi greci: proteggere, come un amuleto, la dimora laddove si apre all'esterno. È attraverso una finestra o un'apertura infatti che penetrano gli influssi maligni. La patera, con i suoi arcaici rilievi, ristabilisce l'ideale continuità del tessuto murario e protegge dal diabolico che, dis-unendo, si manifesta proprio nel vuoto.

Ma se all'immagine, divenuta idolo o simulacro, si conferisce potere, si apre un vasto campo d'azione. Orientando la propria persona -nelle apparenze o nel comportamento- verso l'icona di un'altra -e l'affermazione non è inattuale- non solo si dichiara la propria appartenenza ad un determinato gruppo, ma si crede di assumere in sè stessi le qualità del prototipo. Come dire: ognuno è come l'imperatore, dimenticando che, in realtà, appare solamente, ma come se lo fosse. Status symbol, appunto.

Se finora si è voluto insistere sulla fede come condizione necessaria per l'esistenza di un simbolo, va pure ricordato che la storia semantica di quest'ultimo termine è assai complessa e quello che più interessa in questa sede riguarda i significati inerenti la produzione di opere d'arte. Le figure simboliche, dovendo far ri-conoscere, presuppongono la creazione di specifici linguaggi. Stelle, pianeti, divinità, eroi, persone, animali, alberi, fiori, frutti o pietre preziose sono solo i principali raggruppamenti di cospicui vocabolari dove, ogni figura, può assumere significati diversi. Astrologia, ermetismo, alchimia, massoneria, cabala, poesia, filosofia, psicanalisi o emblematica possono ricorrere alla stessa rappresentazione, ma con accezioni dissimili. Volendo poi rimanere nell'ambito dei soli testi sacri cristiani, e seguendo la teoria patristica, una figura può essere interpretata in quattro sensi: letterale, allegorico, anagogico e tropologico. Esegesi ed ermeneutica spingono dunque la ricerca dello storico, ma anche dell'artista, nell'ambito della retorica e inquadrano il simbolo come figura d'eloquenza.

L'iconologia, nella accezione più ristretta e accademica, occupandosi del symbolon come unità spezzata in due parti, finisce con il cercare per ogni figura una definizione esatta, una traduzione compiuta. L'analisi di soggetti religiosi -condotta nell'ambito di una disciplina alla quale è preclusa l'esperienza del trascendente, di per sè indefinibile- non può che portare ad una illusoria percezione del Sacro, destinata ad arrestarsi al livello del pro-fanum, cioè di colui che sta dinnanzi al santuario, fuori dal tempio. Come se, per dare spiegazione di una misteriosa figura bastasse ricorrere ad un vocabolario dei simboli. Per quanto rigorosi e articolati, tali repertori andrebbero consultati come oracoli dopo il cui responso occorre di nuovo interrogarsi.

Allora, all'insegnante e allo storico dell'arte, iniziatori o guide nel regno delle immagini, per arricchire le capacità percettive di un allievo spetterà il compito di esporre almeno due regole basilari: la pluralità e l'unicità di significato. Con la prima, si ricorderà che una figura, se isolata, può contenere un'ampia gamma di rinvii ma che, a seconda del luogo, del discorso e delle immagini con le quali entra in relazione, i suoi significati -ed è la seconda regola- andranno progressivamente restringendosi e diversificandosi. Un animale come il leone può essere associato a molteplici spiegazioni ma se, in un'opera d'arte cristiana, si trova ai piedi di una persona con un libro, non si tratta dello stesso simbolo. Accompagnando Girolamo, asceta e dottore della Chiesa, il leone rappresenta la riconoscenza verso il santo che gli estrasse una spina dalla zampa. Associata all'evangelista Marco, la figura, spesso con le ali, evoca più significati: uno dei quattro volti enigmatici del tetramorfo nella visione di Ezechiele, la voce profetica di Giovanni Battista nel deserto, la risurrezione di Cristo, la potenza e la fede della repubblica di Venezia.

Esistono altresì simboli indecifrabili, muti ad ogni spiegazione. Non ci si riferisce a codici magici o segreti, nè a figure provenienti da contesti culturali ignoti, come spesso accade nell'ambito dell'archeologia o a chi si confronta con una civiltà diversa da quella di appartenenza, quanto invece alla propagazione delle forme simboliche. Da non confondere con la migrazione di un simbolo, processo secondo il quale la stessa figura può -transitando da un sapere ad un altro- subire trasformazioni formali e di significato, tale disseminazione è strettamente connessa con la decorazione artistica. La figura di un simbolo può essere sradicata dal suo contesto, svuotata dei suoi significati e poi semplificata o variata graficamente secondo determinati processi inventivi come è accaduto, ad esempio, alle piante del loto o dell'acanto. Alois Riegl, descrivendo l'evoluzione delle forme ornamentali ne ha individuato almeno quattro momenti fondamentali: lo stile geometrico, che introduce la simmetria e il ritmo, e le cui origini sono legate alle tecniche dell'intreccio e della tessitura; lo stile araldico, caratterizzato da coppie di soggetti simmetrici e affrontati; lo stile a motivi vegetali, che porta allo sviluppo del tralcio ornamentale e l'arabesco, o ornato a tralci nell'arte saracena. L'artista o l'artigiano, privo di un credo o di un'iniziazione, può essere mosso -come ha ipotizzato Ernst Gombrich- da un desiderio esibizionistico, da uno spirito di competizione, spesso fomentato dal committente, che lo porta ad inseguire una sorta di virtuosismo ornamentale. Anzichè tramandare le costanti formali, che in una figura simbolica assicurano la fedeltà al prototipo, l'artista -mosso da un particolare desiderio di libertà- si cimenta con il tema della variazione. L'arte passa così da una ricerca sugli aspetti immutabili ad un'altra -tutta moderna e contemporanea- su quelli contingenti. Il simbolo si muta così in segno individuale e poi in silente ornamento.

 

BIBLIOGRAFIA

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